Le etnie minori in Giappone

Gaijin
I giapponesi non vedono di buon occhio l'immigrazione straniera. Nella loro cultura, la diffidenza verso il mondo esterno è fortemente radicata e si collega a un senso profondo della propria identità e omogeneità etnica e culturale, che si esprime, tra l'altro, in un profondo orgoglio nazionale e in una forte tendenza all'autarchia.

In Giappone, su una popolazione di 125 milioni di abitanti, poco più di un milione è costituito da residenti stranieri, e di questi solo 650.000 sono considerati residenti permanenti. La comunità straniera più numerosa è quella costituita dai coreani (quasi 700.000) a cui seguono i cinesi (circa 150.000), i filippini e i latino-americani (sopratutto brasiliani).

I coreani arrivarono soprattutto negli anni '30, quando i Giapponesi che avevano invaso e conquistato la Corea, li deportarono in massa per farli lavorare nelle loro fabbriche.
Questi stranieri, vivono in Giappone da decenni, molti sono addirittura nati in Giappone. La loro cultura è quella giapponese ma sono ancora discriminati per molti aspetti a causa delle loro origini. Difficilmente riescono ad affermarsi dal punto di vista sociale, infatti quasi sempre gli vengono destinati lavori subalterni e precari.

Sono emarginati dalla società anche gli Ainu dello Hokkaido (circa 15.000) e gli abitanti di Okinawa, entrambi considerati dai giapponesi come un residuo folkloristico di epoche antiche.
La popolazione degli Ainu è una delle popolazioni originarie del Giappone che non si è mai fusa con i giapponesi attuali, si pensa che quest'ultimi siano il risultato dell'incontro di popoli mongoli venuti dall'Asia con elementi dei popoli indonesiani.
Gli Ainu hanno gli occhi a mandorla ma hanno la pelle bianca, ricoperta da peluria, gli uomini hanno ad esempio uomini una barba lunga e folta.
Nonostante questa popolazione abbia un'organizzazione sociale abbastanza complessa, una lingua proprio ed una propria religione, viene considerata una popolazione primitiva. Come gli indiani in America e gli aborigeni in Australia, sono esclusi dalla società e vivono di caccia, pesca, lavorazione dei tessuti e turismo.

Infine, ma non meno importanti, ci sono i Burakumin (la gente del ghetto).
Sono 3 milioni e niente li distingue dagli altri giapponesi, tranne il fatto di discendere da quelle persone che anticamente praticavano mestieri considerati impuri, cioè quei lavori in cui si viene a contatto con il sangue (carnefici, macellai, conciatori di pelli, ecc.). Nonostante siano emancipati già dal 1871, con l'avvento della restaurazione Meji, nella realtà sono ancora discriminati sul lavoro e in molti aspetti della vita sociale.
Tutti gli stranieri vengono chiamati, a volte anche con una certa dose di disprezzo, Gaijin (外人).
Questa parola della lingua giapponese significa letteralmente persona esterna (al Giappone), cioè colui che non è nativo, non è del luogo, non somiglia ad un giapponese.
Con questa parola si cela in realtà un certo razzismo, mentre si potrebbe utilizzare il termine ufficiale e più neutro gaikokujin (外国人) che vuol dire persona di una terra esterna al Giappone (straniera).
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